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LA CONDANNA AL RISARCIMENTO DEI DANNI NON PATRIMONIALI DA ILLECITO ENDOFAMILIARE ARRECATI DAL PADRE AI FIGLI ADOTTIVI A SEGUITO DI SEPARAZIONE CON MODALITA’ TRAUMATICHE

Avv. Giovanna Ghielmetti • 22 luglio 2021

L’istituto dell’adozione dei minori affonda le proprie radici nella necessità di garantire al bambino che si trovi in stato di abbandono una situazione familiare adeguata a consentirne un armonico ed equilibrato sviluppo psico-fisico.

La Legge n. 184/1983, comunemente definita “legge sull’adozione” è in realtà titolata “Diritto del minore ad una famiglia”, a rimarcare la centralità della figura e delle esigenze del minore che sia privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi e che è invece titolare di un vero e proprio e preminente diritto ad avere genitori responsabili e capaci di instaurare e mantenere un ambiente familiare saldo e duraturo, nell’ambito del quale ricevere in via continuativa le cure, l’educazione e il supporto, precedentemente mancanti.

Per tali ragioni l’Art. 6 della Legge n. 184/1983 prevede che i genitori che formulino richiesta di adozione debbano essere legati da un pregresso rapporto stabile nonché affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare.

Sono infatti dichiarati in stato di adottabilità i minori che versino in una accertata situazione di abbandono a seguito di rifiuto intenzionale, da parte dei genitori naturali, dell’adempimento delle proprie responsabilità, ovvero per la presenza di una situazione familiare comunque inadeguata ad una crescita sana del bambino.

In ogni caso, è evidente che tutti i bambini adottati abbiano precedentemente vissuto esperienze di separazione, perdita e abbandono, sviluppando l’esigenza di legami familiari stabili e duraturi, che, in un certo qual modo, i genitori adottivi devono garantire durante il percorso adottivo.

Sulla scorta di tali premesse si è pronunciata la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, che, con Ordinanza n. 9188 del 2 aprile 2021 ha confermato la Sentenza n. 119/2015 della Corte di Appello di Genova, con cui, in una causa di separazione personale, il marito e padre adottivo di due minori era stato condannato al risarcimento dei danni subiti da questi ultimi nella misura di € 40.000,00 per ciascun figlio.

La coppia protagonista della vicenda aveva adottato due bambini dell’età di tre e quattro anni vissuti in orfanotrofio, entrambi caratterizzati da un complesso quadro clinico e con necessità di terapia di sostegno.

Successivamente, il padre interrompeva in modo esclusivo e traumatico l’unione coniugale, attuando un repentino allontanamento geografico con trasferimento in una città diversa e costituendo un nuovo nucleo familiare con la nascita di un altro figlio.

La consulenza tecnica d'ufficio svolta nel giudizio di primo grado ha posto in luce come per i minori la separazione dei genitori abbia riacutizzato il trauma dell’abbandono, determinando una profonda sofferenza psichica e ponendo a grave rischio il loro futuro equilibrato sviluppo. L’addebitabilità esclusiva delle cause della separazione personale al padre e, in particolare le modalità traumatiche della rottura, hanno quindi determinato una grave condizione di deprivazione e senso di abbandono, tenuto conto della maggiore fragilità dei figli adottivi già segnati da un abbandono originario.

Il fatto lesivo non è da ritenersi integrato dalla separazione personale in sé, bensì dalle modalità con cui è stata attuata. Con il proprio comportamento e con la sua assenza il padre non ha adeguatamente preso considerazione la fragilità dei figli adottivi e la precarietà dell’equilibrio affettivo raggiunto, determinando così negli stessi il rafforzamento dell'idea della privazione della figura genitoriale paterna e un conseguente diritto al risarcimento sorto dal vuoto emotivo, relazionale e sociale, che si è concretizzato nella lesione del diritto costituzionale di vivere ed essere mantenuti ed educati da entrambi i genitori.

Il danno non patrimoniale è stato quindi individuato nella riproposizione di una situazione di abbandono che, benché non equiparabile a quella di partenza, è stata ritenuta idonea a generare una sofferenza non contingente e ad incidere negativamente sullo sviluppo psicofisico dei minori.

Trattandosi di lesione che supera la soglia di gravità necessaria, ne è stata riconosciuta la risarcibilità, ampiamente giustificata sulla base dell'incidenza della pregressa esperienza esistenziale dei minori e della sofferenza subita. 

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