IL CASO SUAREZ: UN (PROBABILE) ITALIANO DI DIRITTO, CERTAMENTE NON DI FATTO

Avv. Alessandro Maranesi • 22 luglio 2021

Da diversi giorni le pagine di tutti i rotocalchi italiani, sportivi e non, riportano la vicenda che vedrebbe coinvolti l’Università per Stranieri di Perugia e il campione uruguaiano di calcio Luis Suarez che, a metà settembre, ha completato il percorso per ottenere la cittadinanza italiana, superando l’esame di lingua che per modalità e tempistiche di svolgimento è finito nel mirino della Procura della Repubblica di Perugia.

Al vaglio degli inquirenti vi sarebbe un presunto trattamento di favore ricevuto dal calciatore in sede di esame, oltre a un iter particolarmente accelerato riservato alla sua pratica, che potrebbe consentirgli l’ottenimento della cittadinanza italiana in tempi incompatibili con quelli previsti dal decreto sicurezza approvato alla fine del 2018.

La notizia, oltre ad avere acceso la rabbia di tutti quei cittadini stranieri che, per raggiungere la medesima condizione, hanno dovuto - e devono - affrontare un percorso tortuoso, scandito da tempi troppo spesso eccessivamente dilatati, ha immediatamente dato inizio ad un importante dibattito sul diritto di cittadinanza e sui presupposti per la sua acquisizione.

E’ chiaro che da quando l’immigrazione ha assunto i contorni di fenomeno mondiale, peraltro in continuo aumento, la cittadinanza non appare più esprimere un valore di appartenenza e di identità ad una comunità, che usa certi costumi e parla una determinata lingua, ma più che altro risulta un mezzo per esercitare diritti civili e politici, nonché privilegi di cui godono, in particolare, i cittadini della Comunità Europea.

La domanda avanzata da Luis Suarez parrebbe ricadere proprio in quest’ultima ipotesi. La richiesta di diventare cittadino italiano risponderebbe, infatti, alla necessità di essere tesserato quale comunitario anche nel campionato italiano di serie A, permettendogli, in seguito alla sentenza “Bosman”, di non subire le limitazioni applicate dall’UEFA alle squadre europee circa il numero massimo di calciatori extracomunitari.

Ma quali sono stati i presupposti che hanno permesso ad una persona di origine sudamericana di chiedere l’acquisizione della cittadinanza italiana?

Innanzitutto, occorre ricordare che la norma vigente in Italia in tema di cittadinanza, risalente al 1991, è tra le più restrittive d’Europa e, secondo molti, anche tra le più arretrate, rispetto alla rapida evoluzione della nostra Società. Ciò che, a ben vedere, parrebbe stridere, per un paese come l’Italia che, attraverso l’emigrazione, ha portato e trasmesso la propria cultura e la propria immagine ben lontano dai confini nazionali.

In generale, il principio cardine per l’acquisizione della cittadinanza italiana è quello per filiazione, ossia il c.d. principio dello “ius sanguinis”. L’art. 1 della L. n. 91 del 1992 statuisce, del resto, che è cittadino italiano per nascita il figlio di padre o madre cittadini italiani.

Il diverso principio del c.d. “ius soli”, che attribuirebbe la cittadinanza per il solo fatto di essere nati sul territorio nazionale, non è invece previsto dallo Stato italiano, fatta eccezione per rari casi legati ai figli di genitori ignoti, apolidi o di genitori che non possono trasmettere la propria cittadinanza. In altri termini, non esiste alcuna effettiva possibilità di acquisire automaticamente la cittadinanza per i minori nati in Italia da genitori stranieri. Allo stato, chi è nato sul territorio della Repubblica da genitori stranieri può richiedere la cittadinanza italiana solo al compimento del diciottesimo anno di età, dopo avere dimostrato una residenza legale senza interruzioni, vincolando comunque l’esito positivo della richiesta alla presenza regolare dei genitori stranieri sul territorio nazionale, come previsto dall’art. 4 della normativa che regola la materia. 

Nel 2015 la Camera dei Deputati aveva provato a riformare i criteri per ottenere la cittadinanza, approvando un disegno di legge che avrebbe introdotto la possibilità di diventare italiani attraverso l’applicazione di un principio temperato di “ius soli”, senza trovare però il medesimo consenso a Palazzo Madama.

La problematica principale rilevata sulla possibilità di richiedere la cittadinanza unicamente al raggiungimento della maggior età è stata quella di avere creato una netta separazione tra lo status giuridico e l’identità personale di un minore, ormai ben definita attraverso l’acquisizione del patrimonio linguistico e culturale italiano.

Sono, comunque, previste altre particolari ipotesi per l’acquisizione dello status di cittadino italiano. Ad esempio, è possibile richiedere la cittadinanza da parte del cittadino straniero in caso di una sua prolungata residenza sul suolo nazionale, c.d. acquisizione per “naturalizzazione”. Nello specifico, l’art. 9 della citata legge stabilisce che la cittadinanza italiana può essere concessa allo straniero residente regolarmente in Italia per un determinato periodo, che varia a seconda del Paese di origine: passando dai 4 anni per i cittadini dell’Unione Europea, ai 10 anni per quelli extracomunitari.

Oppure, la cittadinanza può ottenersi per c.d. “beneficio di legge” con decreto del Presidente della Repubblica, in seguito allo svolgimento del servizio militare nelle forze armate o di un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, previa dimostrazione di una discendenza in linea retta fino al secondo grado da un cittadino italiano per nascita.

Diversa strada è, infine, quella percorsa dall’ex calciatore del Barcellona, che ha richiesto di acquisire la cittadinanza italiana per matrimonio, in quanto coniugato da anni con una donna avente cittadinanza anche italiana.

In tal caso, l’art 5 dispone che il coniuge, straniero o apolide di cittadino italiano, possa acquisire la cittadinanza italiana, quando risiede legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili.

Tuttavia, a seguito dell’approvazione del decreto sicurezza, sia che la richiesta abbia come presupposto una prolungata residenza nel nostro Paese, che un matrimonio con un nostro concittadino, l’acquisizione della cittadinanza italiana è subordinata all’esistenza di altre condizioni, tra cui il possesso di un attestato di conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello B1, equivalente, nei modelli europei, ad un certificato c.d. “pre intermediate”.

Di fatto, l’ordinamento ha previsto il superamento di un esame finalizzato ad immettere nella società italiana persone che abbiano la capacità di sostenere quanto meno conversazioni semplici su argomenti noti, oltre che di comprendere il contenuto delle trasmissioni radiofoniche e televisive. Test che è stato oggetto di numerose critiche, avendo sottoposto il vincolo matrimoniale e affettivo alle capacità cognitive personali, ma che, oggi, ha avuto il merito di mostrare a tutti come la cittadinanza non sia più un simbolo per riconoscersi parte di una specifica comunità.

Indipendentemente dalle eventuali decisioni che saranno assunte dall’Autorità Giudiziaria sui fatti accaduti all’Università per Stranieri di Perugia, il caso Suarez ci ha aperto gli occhi su come oggi lo status di cittadino sia stato ridotto a un semplice documento, formato da timbri e inchiostro, ottenuto attraverso una burocrazia fatta di permessi, domande e fascicoli, assolutamente scollegato a quel senso di appartenenza che dovrebbe, invece, generare la condivisione di spazi, luoghi e di regole. In definitiva, oggi si può essere italiani, senza fare parte del tessuto sociale del Paese, senza doverne, conseguentemente, affrontare e condividere i problemi. Questo è il risultato di un sistema che finisce per consentire a pochi di poter diventare italiani senza esserlo e, a molti, di esserlo di fatto, ma non di diritto.

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